Ci sarà un motivo se l’attenzione che “GenoaSoundCards” ha ricevuto è stata cospicua, seminando buoni frutti. Se lo meritano senz’altro i due mentori, Esther Lamneck e l’abruzzese Claudio Lugo, entrambi rinomati docenti di musica, titolari di questo prezioso manufatto di radicale improv ‘mobile’; ispirazione estemporanea avvolta ad un costante fondale di soundscape, squisitamente studiati e predisposti. Un progetto, dunque, che si è reso responsabile della seduzione di diverse testate, celebri come l’impeccabile Wire, e nazionali come il Manifesto.
Ma andiamo per ordine.
Quest’altra release di casa Amirani è un cd dall’indole geografica, dal mood viaggiatore e come sempre contrassegnata da un serio e critico spirito di ricerca. Si parte dai protagonisti, ambedue venuti a contatto nel capoluogo ligure per dei seminari organizzati dalla New York University, e nella fattispecie, diretti in prima persona dalla Lamneck. Ed è proprio da quest’ultima che sboccia l’impulso di inaugurare alcune session completamente improvvisate, e che all’origine, vedevano anche la partecipazione didattica degli allievi.
E’ il tempo che consente ai due colleghi di aprire un ‘varco d’intesa’, tra loro e tra i loro strumenti: due benevoli compagni dalle affinità timbriche e armoniche complementari.
La Lamneck è una rara specialista del tàrogatò (taragot, tàrogatò): antico strumento ad ancia d’origine magiara, usato spesso nella musica popolare di questo popolo (gli Ungheresi) e di altri dell’Est.
Il suono che germoglia è molto specifico ed originale, ed effettivamente, la definizione multipla che le si dà solitamente di strumento in sostanza dolente, romantico e dalle tonalità decisamente alte rimane la più convincente; lo conferma il canto che fuoriesce alla bisogna: introspettivo e contemporaneamente vibrante, un suono aguzzo, insolente, anche etereo, che in tempi moderni farebbe pensare alla famiglia dei sassofoni, suonati con timbriche nordiche alla maniera di Jan Garbarek. Claudio Lugo, anch’egli, è uno sperimentatore tout-court che non ama affatto esprimersi con facili convenzionalismi.
Lo strumento, cui cimenta il suo diletto già da un bel gruzzoletto d’anni, è un particolare tipo di sax soprano ricurvo.
Ed ecco che i due ‘viaggiatori’ si mettono alla ricerca del teatro dove esibirsi e trovano che la scenografia ideale al proprio duetto sia l’intero spettro della città.
Genova, città di mare, ombrosa, racchiusa da un fascino parallelo che comprende la propria, remota, storia e il trambusto industriale, il via-vai di gente, di popoli che penetra le mura cittadina per opera del grande e vecchio porto.
Tàrogatò e sax ricurvo lasceranno un’indimenticabile scia-melodica di note complesse, meditative, nomadi e istantanee come nella migliore tradizione free; avvieranno meticolosi dialoghi tra le cinta del cortile di Palazzo Ducale, sotto la Loggia della Mercanzia e presso l’Arena dei Banchi in Vico Mele; evidenzieranno strane angolature di suono nei vari locali di Casa Paganini, in due diversi ambiti del Porto e, infine, dinanzi al sagrato di S.Maria di Castello.
Se si volesse stendere una descrizione riguardo i diversi soundscape, e affiancare ciò alla scala di differenziazione che il compositore Raymond Murray Schafer, all’interno del progetto di ricerca World Soundscape Project (’77), conferì ai tanti e vari rumori ambientali-esterni, potremmo optare per la famiglia dei Segnali (sviando le altre due ‘confraternite’, Toniche e Impronte Sonore).
Nei Segnali, il compositore canadese, includeva i rumori che l’essere umano recepisce e crea con fare conscio: sirene di un’ambulanza, il traffico, i clacson, un fiume di persone a passeggio, gente che parla ecc. Tutti elementi che a turno, in contesti differenti, viaggiano di pari passo con i due musicisti.
Va comunicata, inoltre, la presenza parallela all’interno del supporto di un file video, diretto da Roberto Merani, dove scorre una performance compiuta all’interno di un edificio in costruzione del porto.