Wet Cats

July, 2017
AMRN052
CD Digipack
Price: 
12.50
Gianni Lenoci e Francesco Cusa

Stunning interplay, sound consciousness, colour palette of the richest kind.
A musical exploration driven through expressive depths, textures delights and complex pixeling sparks, by two cutting edge musicians who really master their instruments in the most flexible way without losing a solid, bodied sound.
Lenoci and Cusa, already bold presences on Amirani catalogue, really play a pregnant interaction on this Wet Cats album where everything moves fluidly through eccentric creative circles of inspired music.
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Reviews

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Una di queste sere, una di quelle dove tiro tardi dopo una giornata di lavoro, scorro distrattamente la newsfeed di Facebook, quando leggo un post di Giovanni Benvenuti (ottimo e giovane sax tenore e soprano). "Ho appena saputo che Gianni Lenoci, non solo uno dei musicisti più profondi coi quali ho avuto il privilegio di suonare e registrare ma anche una persona meravigliosa e di rara gentilezza, non ce l'ha fatta. Ci lascia un pianista straordinario e dalla personalità unica." Da lì in poi sulla newsfeed piovono una quantità di testimonianze e memorie comuni. Data 30 settembre 2019. Vado su Wiki per farmi un'idea, nonostante avessi Gianni Lenoci tra gli amici di Facebook. Leggo. Musicista classe '63 con fior di collaborazioni, tra cui Rava, Grossman, ha studiato con Mal Waldron e Paul Bley, etc. "Forse mi sono perso qualcosa" penso.

Sento al telefono Francesco Cusa (batterista jazz, compositore, sperimentatore, musicista, scrittore, critico cinematografico di rara sensibilità in ognuna delle discipline in cui si applica). Gianni e lui hanno suonato spesso insieme. Nell'intervista che Musica Jazz gli ha dedicato a settembre Francesco aveva parlato dei suoi due gruppi (FCTrio, ovvero Gianni Lenoci, Ferdinando Romano e Giovanni Benvenuti, e FC & the Assassins, composto da Valerio Sturba, Giovanni Benvenuti e Ferdinando Romano) affermando che per lui è molto importante vivere i suoi progetti (e le sue discrasie) con persone fidate e amici veri. C'era affetto, stima profonda, un sentire comune tra i due. Gli faccio qualche domanda. Francesco accelera l'eloquio per coprire lo sconquasso dei sentimenti, quasi non avesse ancora messo a fuoco. Mi domanda se ho ascoltato qualcosa di Gianni. La mia ignoranza mi protegge come al solito. Consiglia Wet Cats.

Prima di ascoltare cerco qualche recensione. Su Musica Jazz trattano la materia con rispetto, ma senza entusiasmo. Su All About Jazz si parla de "l'incanto di musica complessa, ma tutt'altro che difficile". Ho ancora qualche curiosità. Mando qualche messaggio a Francesco per capire meglio. Lui mi chiama. Wet Cats è un'unica suite di 51 minuti e mezzo, registrata a Monopoli nel 2015. Il titolo lo ha coniato Gianni Lenoci. Nessuna preparazione prima di incidere. Nessun obiettivo. Si tratta di composizione istantanea. "Dopo che vi siete detti?" gli chiedo. "Siamo andati a mangiare una pizza e abbiamo cazzeggiato." Restiamo un attimo in silenzio. Ho imparato che il silenzio serve a disseppellire. "Dovevamo fare un progetto suonando standard.." Aggiunge. "A ricordarlo ora mi viene una rabbia.. Ma come fai a pensare che ti lasci con un ciao e poi non ti rivedi più..." Riattacca a parlare veloce. Mi dice che si è reso conto per caso che Wet Cats è del 2015. Pensava di averlo registrato lo scorso anno, scherzi del cervello. Poi mi parla di Marco Guzzi, un poeta e filosofo che ha messo Nietzsche al centro della sua opera e del proprio pensiero. "Si somigliavano lui e Gianni.. Sia come carattere che fisicamente.." Riattacco. Mi metto a guardare 2 ore di lezione di Marco Guzzi Su Cristo e Anticristo in Nietzsche. Formidabile, limpido, cristallino. Afferma che l'archetipo, per quanto desideri abbatterlo, comunque ingaggia con chi lo affronti un tale duello che, pur abbattuto diviene parte di te. Si odia e si ama solo quanto è importante, il resto inevitabilmente lo si perde.

Wet Cats. tutto è iniziato da lì. Anzi, no, è cominciato su Facebook, con la morte di Gianni Lenoci e con la mia proverbiale ignoranza. Poi ci si è infilato Nietzsche e le moto Guzzi, associazione di idee che avevo usato al telefono per trattenere a mente il nome del poeta e filosofo a me sconosciuto. Gatti bagnati. I gatti detestano l'acqua, eppure ne sono attratti. Il mio gatto Berlinguer , ad esempio, lo trovo sovente nel lavandino che prova a lappare un filo liquido colante dal rubinetto. Apro Spotify, La piattaforma online riporta come data del progetto il 2017. Forse aveva ragione Francesco, forse non era stato uno scherzo della mente a fargli pensare che la registrazione fosse recente. 51'36''. Il tempo resta a scandire l'effimero. L'unità di misura più vana presa a misura del reale. Bisogna essere pazzi, davvero pazzi.

Inizio l'ascolto. Conosco lo stile di Francesco Cusa. Mi aspetto il suo modo di suonare ricco di divagazioni, strumenti estemporanei, percussioni di passaggio, ma Francesco comincia la suite con un preciso, cristallino lavorio sui piatti. E' il modo che ha scelto per dialogare con le note alte di Lenoci. Non una giustapposizione di suoni, ma il preciso scalpellio dell'artista per estrarre bellezza. Il pianoforte adesso diviene ritmico, inquietante. Francesco è duale. Ha un proprio percorso, una propria idea ma abbraccia anche quella dell'altro. E' come se sentissi la guida monade di Lenoci e il dualismo di Cusa. Reiterano delle idee, trattengono palla in attesa che l'uno o l'altro si smarchi. Avviene sempre. A volte come un tracciante giunge il passaggio, altre è un semplice farsi da parte perché il compagno prenda la guida del fraseggio. Altre volte ancora suonano all'unisono la stessa sensibilità, ma frasi diverse, raccordandosi a istinto, lasciando dialogare culture simili.

Mi torna in mente una frase di Francesco: "Gianni aveva una cultura musicale pazzesca. Catalogava, conosceva, ascoltava ... Forse solo Stefano Zenni arriva al suo livello.." La mia ignoranza mi protegge sempre. Non lascia che riconosca le influenze, consentendomi di "sentire" solo la musica, senza che l'emozione possa essere mediata da lucida analisi. La definirei la fortuna dell'analfabeta che voglia leggere Tolstoj. Rammento la cena a seguito della presentazione del mio romanzo Chiedi a Coltrane. Ero con Francesco Cusa, Stefano Zenni, Alessandro Panatteri, altro fine musicista che dirige la Alexander's Ragtime Band e l'amico scrittore Paolo Vanacore. Tornai a casa pensando sinceramente che nemmeno se mi fossi reincarnato dieci volte avrei potuto trattenere quella sapienza. Molti hanno condiviso post su Lenoci nei giorni a seguire, componendo sostanzialmente un coro che ha intonato l'ammissione dei peccati. Il più grande? Non averlo compreso fino in fondo. Si dice sempre così.

Intorno al ventesimo minuto della suite Francesco e Gianni si trasferiscono dall'inconscio alle stanze contigue della lieve nostalgia, quasi il riaffiorare a quota periscopica delle loro sensibilità. Avverto il tempo che scorre, memorie care. Le memorie dei vivi che immaginano di perdere tutto, persino la vita stessa, un annientamento impossibile da esprimere a parole, qualcosa che solo la musica o la pittura possono, abitando più della narrazione le stanze dell'inconscio. Alla letteratura mancano, invece, i vocaboli, le sillabe sono mattoni mai liberi di costruire le infinite combinazioni, non possono avventurarsi verso la ricerca dell'ignoto che puntualmente riprende già dal venticinquesimo minuto.

Ripenso alla telefonata. Francesco aveva indugiato prima di dirmi: "Sai è stata una roba tipo, Hey man andiamo a suonare! Abbiamo cercato il bello che potevamo e poi l'abbiamo lasciato lì, nel senso che ognuno ci vede quello che vuole.." Intorno al trentunesimo minuto la musica si spegne. Restano dei suoni metallici a scandire qualcosa di ancestrale, poche note di Lenoci. Probabilmente occorre sempre passare dall'infanzia per capirci qualcosa o dal rumore del mare. L'ascolto adesso è persino di chi suona. Poche pochissime note, alcune gravi e l'eco come di un tuono lontano. E' la fine o l'inizio che vengono resi tangibili. La musica è un tutto che non ha bisogno di scandire le singole parti. non ha né capo, né coda, come la vita e la morte che sono una.

Al trentacinquesimo minuto Lenoci e Cusa tornano al presente. Narrano di emozioni quotidiane. E' un passaggio molto bello, godibile, emotivo che consente di abbracciare la parte più semplice e immediata delle nostre sensibilità. A volte mi distraggo, penso ad altro mentre ascolto. L'operazione di Lenoci sembrava essere andata bene, poi non ho capito cosa non ha quadrato. Ho sempre immaginato i jazzisti come i personaggi descritti dall'iconografia americana, schiavi degli eccessi. Gli individui che conosco sono tutti dei salutisti, gentili molto più dei vecchi che fanno la spesa il sabato alla Coop. Niente che lasciasse presagire il peggio. Niente. La morte è un fulmine. A volte vorrei essere il mio gatto Berlinguer. Lui non sa che deve perire. Teme il pericolo, non si getterebbe mai dal quarto piano, però non sa che i suoi giorni avranno fine. Forse proprio per questo i gatti non sono musicisti.

Giunto al quarantaseiesimo minuto mi perdo in un furioso percorrere di scale acute. Francesco lascia che Lenoci si arrampichi come vuole. Lo sorveglia paterno dal basso, gli protegge le spalle come Butch Cassidy a Billy the Kid nel film di Roy Hill. Lo sanno che è un gioco a perdere, che finirà male e l'esercito messicano avrà la meglio, ma chi se ne frega? E' questa la forza del tutto, dell'incessante fluire. Poi un suono dolce, più calmo, spegne l'ansia nella quiete, come l'acqua il fuoco. Si annida nelle sonagliere di Cusa, nel gioco sottile dei piatti cristallini. Il rullante offre gli ultimi strappi e con esso il piano percosso. Odo il suono lontano di una voce, forse una segreteria, una radio malfunzionante. Mi ricorda l'epilogo di un film di Jaco Van Dormael, "Toto Le héros", dove il protagonista, percorrendo la sua vita, sbagliata o giusta che fosse, giunge alla sua stessa dipartita e l'ultima frase che pronuncia è: "Tutto qui?"

L'archetipo alla fine o lo si accetta o lo si respinge, come afferma Marco Guzzi, Si giunge al Cristo o all'Anticristo di Nietzsche, ma il jazz risiede ancora più in alto di ciò, perché è uno, è sentire, è tutto, come la vita e come la morte, è arte. Credo, dunque, in Wet Cats, credo in un'unica suite, in un unico viaggio. Sì, credo nello splendore del "tutto qui" interamente reso da Francesco Cusa e Gianni Lenoci e credo nella mia inesauribile ignoranza che non potendo descrivere Wet Cats ha avuto almeno la furbizia di provare a renderlo adattando l'arte del recensire alla composizione istantanea, al flusso di coscienza. Il mio è un maldestro, onesto tentativo del quale chiedo perdono, ma quello inciso dai due musicisti è bellezza che resta offerta per sempre alla nostra sensibilità e interpretazione e ognuno può sentirci ciò che vuole, ciò che è.

Cadence
Don Lerman

Gianni Lenoci and Francesco Cusa begin their fifty-one minute freely improvised performance with Lenoci's brooding low harmonics and tinkling piano notes barely accompanied by Cusa's cymbals. Further development of the upper register from Lenoci leads to an open percussive section from Cusa in the third minute and an increase in the rhythmic intensity. Later in the performance, Lenoci's rapid avant guard lines in the 15th and 26th minutes contrast sharply with his contemplative playing in the 18th minute and in a moving section begun in the 35th minute. Cusa's drum- ming is intense yet wisely restrained during the turbu- lent sections, allowing Lenoci's creative virtuosity to rise to the forefront on these occasions. In turn, Cusa sets the terms and pace in the 27th minute with a strong rhythmic backbeat, joined later by Lenoci in this genre. Beyond the 37th minute are further swings
between forceful and meditative playing, with a faint lullaby part of a thoughtful nal few minutes from

All About Jazz
Neri Pollastri

La buona riuscita delle performance d'improvvisazione radicale è soggetta ad almeno tre condizioni: la prima, ovviamente, concerne le personalità artistiche che vi si cimentano, la seconda l'intesa tra di loro, la terza una certa dose di alea, che faccia sì che proprio in quell'occasione tutto giri al meglio e le idee scorrano fuori, una dietro l'altra, limpide, luminose e coerenti. 

Sulla prima condizione questo Wet Cats, registrato in studio a Monopoli il 25 giugno 2015, era già una garanzia, vedendo in scena il duo di Gianni Lenoci, uno dei più geniali pianisti della scena nazionale, musicista e improvvisatore di prim'ordine, e Francesco Cusa, batterista uso ad avventurarsi in ogni ambito musicale e anch'egli valentissimo improvvisatore. Anche sulla seconda condizione si poteva fin da subito essere rassicurati, visto che i due musicisti si conoscevano da tempo e avevano all'attivo varie collaborazioni. Sulla terza condizione garantisce invece l'ascolto, perché un lavoro come questo non poteva essere realizzato senza aver colto il kairos

Già, perché questo Wet Cats, cinquantuno minuti e mezzo di musica in una sola traccia senza soluzione di continuità, è davvero un lavoro spettacolare, tra i migliori nel suo genere che ci sia capitato di ascoltare ultimamente. 

Come avviene sempre in questi casi, al centro c'è il lavoro sul timbro, che entrambi protagonisti esplorano in lungo e in largo: Lenoci sfruttando le infinite possibilità del pianoforte, anche usandolo in modo poco convenzionale -a momenti percuotendolo, in altri facendolo suonare come una kora -ma in generale operando in modo genialmente ellittico, così da metterne in risalto le sonorità (ne sia semplice esempio il lavoro sulle note basse sviluppato attorno al minuto quaranta); Cusa saltando da pelli a metalli e facendo risuonare il proprio set in maniera di volta in volta diversa e dinamicamente sempre adeguata al lavoro del compagno, senza disdegnare soluzioni originali, quale per esempio il carillon al minuto quarantotto. 

Ma l'aspetto timbrico è qui inscindibile da quello ritmico, sviluppato con grande libertà e con il palese intento di produrre una trama che, nonostante il proprio costante mutamento -anzi, proprio grazie ad esso -avesse un forte impatto comunicativo e un marcatissimo contenuto drammaturgico. Ecco così il susseguirsi di situazioni ritmicamente diverse, con pulsazioni ora più veloci e unitarie, ora invece più frammentate, atte a sottolineare maggiormente l'aspetto timbrico. 

Pur nella prevalenza della libertà da temi e lirismi, non mancano tuttavia neppure bellissimi momenti di questo genere, come quello sviluppato attorno al ventesimo minuto, quando su un intenso ma delicato ritmo di rullante Lenoci si produce in un discorso melodico nel quale ha occasione di accennare stilemi di Paul Bley e Abdullah Ibrahim

Inutile andare oltre per cercare di trasmettere l'incanto di questa musica, complessa ma tutt'altro che "difficile": solo da ascoltare con le orecchie aperte. Meglio invitare il lettore a procurarsi il disco, pubblicato dall'etichetta Amirani, specialista nazionale della composizione istantanea

Kathodik
A G Bertinetto

Notevole prova d’improvvisazione avanguardistica, l’album suonato e prodotto da Gianni Lenoci (pianoforte, piano preparato, flauto) e Francesco Cusa (batteria) propone più di 51 minuti in cui si svolge un ininterrotto dialogo musicale, ricco di episodi diversi. È carico di empatica espressività il sound generato dal duo, che invita l’ascoltatore a partecipare a un avventuroso, e insieme assai piacevole, viaggio d’esplorazione artistica. Ma che c’entrano con questo i gatti bagnati? Sarei curioso di saperlo. Spero quindi di ricevere presto quest’informazione dai diretti interessati.

Percorsi Musicali
Ettore Garzia

Una lunga improvvisazione di 52 minuti circa riempie il cd per Amirani del pianista Lenoci con il batterista Cusa a nome Wet Cats. 52 minuti di eterogenee sensazioni che piombano nelle orecchie in maniera continua e diversificata negli intenti espressivi: c'è una parte irritata, che puzza di marcio, un'altra più armonicamente impostata, un'altra implacabile e percussiva, un'altra ancora riflessiva, silenziosa con poche note e percussioni. In Wet cats, ci sono ancora messaggi residui dell'operazione che i due, assieme a Martino, hanno profuso nelle distopie di Huxley od Orwell, ma ciò che conta è la funzionalità dei passaggi, il perfetto equilibrio che si crea tra tensione e distensione lungo il percorso. Cusa ha un drumming potente, tracciato su impianti rock o jazz-rock, mentre Lenoci è quanto di meglio di possa trovare nelle ampiezze stilistiche e formative di un pianista. E' così che i 52 minuti di Wet cats impongono nuove contrapposizioni, come in quei quadri in cui la realizzazione particolare del dipinto ti costringe ad alzare gli occhi velocemente in alto e in basso, ma poi contiene anche oasi visive su cui concentrarsi con gli strumenti tipici della contemporaneità, nel nostro caso musicale (estensioni, silenzi, impulsi atonali).  La bellezza qui è molto relazionata ai tempi che si vivono, si gusta a strati, fino al carillon finale e agli effetti che si ascoltano in sottofondo assieme alle ultime esalazioni dei piatti.

Sound Contest
Olindo Fortino

Ultimissimo titolo Amirani pubblicato in catalogo (siamo al numero 52), “We Cats” sancisce l’incontro al vertice tra Gianni Lenoci (piano, anche preparato, e flauto in legno) e Francesco Cusa(batteria). Il musicista pugliese e quello siciliano hanno in verità background piuttosto dissimili ma in questa registrazione effettuata in studio a Monopoli si concedono l’uno all’altro al meglio delle loro capacità, conseguendo in modo facile ed esemplare un risultato finale degno di applausi. Qui il loro dialogo prende forma in un unico brano improvvisato per cinquantuno minuti di musica avvincente e proteiforme. La coppia parte in sordina, in modo circospetto, attendendo una scintilla creativa che non tarda ad arrivare. Cusa stuzzica nervosamente i piatti mentre Lenoci agisce tra tastiera e cordiera. Dopo il sesto minuto i due sono già a bordo, nella cabina di comando di un aeroplano che lentamente decolla tra accordi pieni, acciaccature, sfregamenti, note percussive e sbattimenti ritmici. Raggiunta una certa quota il volo resta orizzontalmente sospeso nel vuoto, cullato da una lieve inerzia microtonale. D’improvviso, al quindicesimo minuto, si affronta una moderata perturbazione atmosferica generata dal frenetico sovrapporsi timbrico e ritmico dei rispettivi strumenti. Un paio di minuti dopo torna la quiete. L’atmosfera è tersa, neoclassicamente rarefatta. Arriva quindi un pindarico crescendo di piano accompagnato da un intenso rollio percussivo. Il velivolo prende velocità ma segue una rotta folle e irregolare, rischiando a tratti di precipitare. I due piloti se ne accorgono e riprendono il controllo sui tempi pressanti di moderne variazioni impro-jazz. Dopo il trentesimo minuto spengono inspiegabilmente i motori, facendo vibrare il suono con labili rintocchi. Il viaggio riprende su motivi prima ripetitivi e poi istericamente sconnessi. La tastiera di Lenoci arde note su note, la batteria di Cusa accelera la loro combustione. Al quarantacinquesimo la conversazione diventa concitata, il velivolo risale in quota un’ultima volta. Il viaggio però volge al termine, la meta è all’orizzonte. Si plana e atterra dolcemente, cullati dall’infantile e impercettibile soffio del flauto. File under: impro aerodinamica.

Vynilmine
Ο 54χρονος Gianni Lenoci είναι από τους σημαντικούς, σημερινούς, ιταλούς πιανίστες-αυτοσχεδιαστές. Είναι δε, φρονώ, γνωστός και στην Ελλάδα, αφού έχει συνεργαστεί σε παραστάσεις και στη δισκογραφία με τον Σάκη Παπαδημητρίουκαι την Γεωργία Συλλαίου (άκου, ας πούμε, το “Nosferatu A Monopoli” από το 2005). Έχουμε γράψει κι άλλες φορές στο δισκορυχείον για δίσκους στους οποίους συμμετέχει ο Lenoci και τώρα έχουμε ακόμη έναν.
Αυτή τη φορά ο ιταλός μουσικός, που χειρίζεται πιάνο, προετοιμασμένο πιάνο και ξύλινο φλάουτο, συνεργάζεται με τον ντράμερ Francesco Cusa, σε μια σύνθεση για πιάνο-κρουστά (βασικά). Λέω «μια σύνθεση», επειδή υπάρχει ένα μόνο κομμάτι στο άλμπουμ, που διαρκεί σχεδόν 52 λεπτά.
Είναι ολοκληρωμένο αυτό που παρουσιάζουν οι Lenoci και Cusa. Έχει συνοχή, εκπλήξεις, αλλαγές, ειρμό και συνεχείς αυτοσχεδιαστικές περιδινήσεις, που κάνουν «εύκολη» την παρακολούθησή του. Φυσικά, κάτι τέτοιο οφείλεται κατά πρώτον στη φαντασία και το ταλέντο του Lenoci, που ξέρει, χρόνια τώρα, να «τραβάει» απ’ όλο το σώμα του πιάνου ξεχωριστά ηχοχρώματα, ενώ και ο Cusa, που συνοδεύει με διαφόρων ειδών μπαγκέτες, είναι πάντα «εκεί» έτοιμος να ανταποκριθεί στις απαιτήσεις ενός τέτοιου ντούο. Έτσι, λοιπόν, σε μια σύνθεση που ξεπερνάει τα 50 λεπτά, την “Wet cats”, δεν είναι… παράλογο να συναντήσεις μέρη κάπως πιο συμβατικά (με τη μελωδική γραφή να ακολουθεί minimal κατευθύνσεις), περάσματα που να έχουν εντός τους τη δύναμη του rock (περί το 25ο-26ο λεπτό) και βεβαίως φάσεις ήπιες, χαμηλών τόνων, με πιο σαφή ρομαντική διάσταση. 
Όλα αυτά εν σειρά σ’ ένα άλμπουμ ελεύθερο και μελετημένο στον ίδιο βαθμό.
Avant Music Reviews
Daniel Barbiero

Wet Cats is a single, nearly hour-long improvisation by Italian musicians Gianni Lenoci and Francesco Cusa. Lenoci, whose background includes studies with Paul Bley and Mal Waldron, plays piano and prepared piano and a bit of wood flute at the very end, while Cusa plays drums. Although they are an ensemble of only two, they fill out a broad spectrum of audio space partly by virtue of the nature of their instruments and partly by virtue of their intelligent playing. Lenoci is sensitive to the piano’s percussive qualities as well as its coloristic effects. He’s capable of taking the music into surprising places, shifting smoothly from agitated, abstract atonality to romantic or bluesy implied chord progressions. Cusa’s drumming is energetic when drive is needed and restrained when the music takes a reflective turn. He is as capable of playing a free pulse beyond barlines as he is able to lay down a solid rock beat. The interaction between the two is assured and seamless; given the quality of their collaboration it comes as no surprise that Lenoci and Cusa are able to maintain a taut focus over the entire course of the performance.

Orynx-improvandsounds.blogspot.it/
Jean-Michel Van Schouwburg

Une longue improvisation en duo piano/percussions parue sur le label Amirani du saxophoniste Gianni Mimmo. Le pianiste Gianni Lenoci travaille régulièrement avec Mimmo en duo ou en groupe, les Reciprocal Uncles, pour lesquels un remarquable cd a été gravé en 2010 sous cette dénomination (Amirani AMRN022). Avec le batteur Francesco Cusa, on entend aussi Lenoci au piano préparé et pour finir discrètement à la wooden flute. La musique du duo est tendue par les groove secs installés par le batteur et autour des quels le pianiste improvise avec un toucher et une classe impressionnantes. On trouve chez lui bon nombre des qualités pianistiques qu’on apprécie chez Agusti Fernandez, Georg Graewe, voire Fred Van Hove. Une belle logique et un sens réel de l’improvisation. La trajectoire du duo traverse des domaines variés proches d’une démarche contemporaine et se rapproche d’un jazz d’avant garde puissant basé sur des tempi autour duquel les deux improvisateurs tournent adroitement durant une belle séquence.Francesco Cusa est avant tout un batteur de jazz à risques qui ne craint pas l’aventure. J’avais beaucoup apprécié un trio roboratif avec l’inoubliable saxophoniste alto sicilien Gianni Gebbia où Cusa était absolument à son avantage. Donc, dans cet album, la musique est remarquable, le pianiste brillant et lumineux avec un savoir faire haut de gamme et le batteur tout à fait à la hauteur. Sachant très bien qu’il ne faut pas attendre des choses très audacieuses, question « liberté », de la part de Francesco Cusa parce que sa pratique est orientée vers la rythmique, je ne vais pas me plaindre. Mais j’aurais préféré une orientation plus chercheuse ou exploratoire au niveau des paramètres sonores et percussifs, des formes et des échanges. On pense à Roger Turner qui vient (enfin !) d’enregistrer avec Fred Van Hove, Martin Blume, Mark Sanders, Paul Lovens ou Marcello Magliocchi, lui aussi de Monopoli comme le pianiste. Cela dit cette musique fera le bonheur de ceux pour qui cette orientation correspond à leurs attentes, car elle est magnifiquement jouée.

Music Zoom
Vittorio

Fra i protagonisti dell’avanguardia in Italia Gianni Lenoci qui al pianoforte, pianoforte preparato e flauto e Francesco Cusa alla batteria occupano un posto speciale per la loro continua ricerca, sia nel campo dell’improvvisazione che nell’esecuzione (Lenoci è spesso coinvolto in progetti in cui esegue le partiture di compositori contemporanei). Questa volta sono faccia a faccia da soli in un progetto ambizioso, un duo in studio che non conosce limiti creativi, cinquantuno minuti di musica che sono un continuo scambio di idee, un flusso di suoni che non accetta interruzioni, un’avventura in cui ci si lancia per venirne risucchiati per quasi un’ora. All’interno della lunga esecuzione si distinguono momenti diversi che avrebbero potuto essere brani messi insieme in un ordine scelto a posteriori durante il missaggio. Invece la scelta, quasi provocatoria, di lasciare tutto così come si è svolto in studio, quasi un momento magico che si prolunga all’infinito. Si passa dalle atmosfere alla Cecil Taylor (che spesso ha suonato in duo con batteristi) a situazioni più rilassate, ma la cosa più importante é il dialogo, il continuo rilancio di idee, l’empatia, la comprensione fra i due che li porta ad eseguire in tempo reale tutte le idee che passano per la testa senza che spuntino conflitti o si pensi a ripetere il pezzo. Incisioni così sono sempre una sorpresa, per il pubblico e per i musicisti, anche loro in preda quasi ad una trance che fa di questo disco qualcosa di speciale, anche in un campo così fuori dall’ordinario come è l’avanguardia.

Giuseppe Carbone

Dal gesto al segno tracciato su una pietra, dalla scrittura sacra alla materia di colore o marmo, dal papiro al foglio tratto dal tronco dell’albero, dalla vibrazione di un pensiero alla raffinata interpretazione dei rimandi e della dimensione di significatività che rende possibile lo sguardo sulla totalità di ciò che è, il segno ri-flette la strutturache connette, la Forma che regge dinamicamente il Tutto nei suoi dettagli, dove invero essa si cela. Come il guscio della lumaca e la galassia hanno in comune la spirale, i segni hanno in comune il tratto di una significatività che raccoglie nel dettaglio l’immagine del Tutto. L’opera-mondo è poiésis, ma perché emerge dalla Forma, ne è emanata, partorita, combinata e gettata lì nell’orizzonte dove siamo noi ad agire e credere, amare e odiare, godere e patire; e nella dimensione dell’Arte, in noi si attua la flessione del segno che è sintesi di un logos di azione produttiva che coglie un tratto del Tutto e lo restituisce al Tutto mediante i suoi stessi segni.

Non siamo noi che allestiamo un Theatrum orbis da cui guardiamo chi e cosa siamo, ma sono i segni che si mostrano, che appaiono, tra nascita e morte.

WET CATS, come opera-mondo obbedisce alla legge di una scrittura che flettendo l’apparire dei segni li restituisce in un paesaggio sonoro espressionisticamente aperto che mostra, indica, ma intransitivamente. Non rappresenta, non rimanda, semplicemente c’è. Ma c’è come esso stesso spæculum, theatrum, insomma mappa e diorama di se stesso.

Poi siamo noi a bruciarvi dentro e leggervi i segreti. Estetica, dunque, comeesperienza di un essere-in-atto simbiotico inevitabile tra io empirico e opera d’arte.Questo però, benché segni e scrittura ci attraversino con selvatica costanza, non accade con tutte le opere d’arte, ma quelle opere-mondo che sperimentiamo e ci restituiscono a dimensioni spirituali e carnali, a visioni estatiche di confluenze in cuinoi stessi e la cosa-arte siamo identici.

Quando teniamo in mano un libro di de Sade, I Canti di Maldoror, oppure Proust, l’Ulysses, la Baghavadgita non abbiamo a che fare semplicemente con libri. Ma con noi stessi e le tracce della struttura che connette il Tutto. Pericolo di caotizzazione dei nostri rassicuranti giardini privati, della nostra volontà di emendare il sublime che brama di restituirci ciò che eravamo fuori dal nostro mondo: dèi.

La musica di Wet Cats scorre e articola se stessa, le sue sequenze aprono a dimensioni in cui, come accade con Also Sprach Zarathustra di e non più di Nietzsche, tutto il dicibile è impronunciabile. Poema filosofico questo, crudele Ethicamore monstruo demonstrata, dove monstruum sta per prodigio, teratologia co(s)mica essendone la resultante inevitabile; esplosione e contemplazione di teratologie sonore che scompaginano il dicibile musicale Wet Cats che, come il poema di Nietzsche pone l’io empirico su una graticola infuocata che bruciandolo lo costringe a scoprire cos’è.

E in questo viaggio che Wet Cats compie, c’è il cammino di Zarathustra, come le esplorazioni di opere-mondo che amano il pericolo della verità. Infatti Wet Cats,come lo Zarathustra è un affresco di rivelazioni estatiche, un canto che canta se stesso, come l’essere, come la totalità dell’essente canta e danza la sua in-coscienza.Si può ancora dunque dire dell’indicibile che pure si dice?

C’è la Gioia di essersi lasciati cuocere dal Roveto Ardente e aver visto il proprio daimon ridere di noi.

Credits: 

Gianni Lenoci: piano, prepared piano, wooden flute
Francesco Cusa: drums
Music by Gianni Lenoci and Francesco Cusa
Recorded at Wavehead Studio, Monopoli, Italy on June 25, 2015
Sound Engineer: Mimmo Galizia
Photo by Domenico Di Leo
Graphics by Nicola Guazzaloca
Produced by Gianni Lenoci and Francesco Cusa
Executive production : Gianni Mimmo for Amirani Records